Verso la festa del 27 maggio – Riccio: “De Luca e Pinga veggenti. E quella maglia di Maradona…”

L’infortunio di Argilli, il discorso folle di De Luca, la maglia di Maradona, la promessa di Pinga. Sono le quattro istantanee che tornano in mente a Vincenzo Riccio quando gli viene chiesto della promozione in A del 2003, che sarà ricordata sabato nel corso della serata organizzata dai Fedelissimi. Riccio, tra i perni del centrocampo di Papadopulo, arrivò a Siena quasi per caso. “Ero alla Pistoiese – racconta al Fedelissimo Online – poi si fece male Argilli e Nelso Ricci scelse me per sostituirlo. Giocai 30 partite, fu una stagione incredibile. Cominciata con una frase del presidente…”.

Quella della “lucida follia”?

Eravamo a Palazzo Pubblico, per la presentazione della squadra. A un certo punto, inaspettatamente, De Luca tirò fuori la maglietta e disse che avrebbe vinto il campionato. Ci guardammo tutti. “Ma che c… sta dicendo?”. Noi dovevamo salvarci. E invece… È stato il primo a crederci, fin dall’inizio. Ma ci sono altri segnali rimasti impressi.

Ad esempio?

La notte di Genova, che ci aprì le porte alla A. Marassi pieno, il Genoa che deve salvarsi, noi che perdiamo 1-0. A un certo punto fischiano fallo su di me, 5-6 metri fuori dall’area di rigore. Arriva Pinga e dice: toglietevi che faccio gol. Non lo dimenticherò mai. Nella mia carriera nessun altro calciatore ha dichiarato una cosa del genere.

Per Riccio quell’anno un solo gol, ma pieno di significati.

Giocavamo di sera a Napoli, alloggiavamo a Caserta e in quel ritiro il presidente, che mi voleva un gran bene essendo entrambi napoletani, venne a trovarci con la famiglia. Siccome era stato nel cda del Napoli scudettato aveva questa maglietta di Maradona e mi disse: se fai gol ti regalo te la regalo Perdevamo 1-0, gol di Dionigi. Nel secondo tempo feci l’1-1 e poi segnò Rubino al 91’. Il turno successivo, davanti al pubblico di Siena, il presidente mi consegnò la maglia.

L’anno successivo rimanesti per soli sei mesi, senza mai giocare.

Decisi di restare, poi presero in mezzo gente come Guigou, Cufrè, D’Aversa, a gennaio Vergassola. Mi volevano dare al Livorno di Mazzarri, che poi vinse la B. Rifiutai e ci fu un po’ di attrito col ds. Non venivo convocato, così a metà stagione andai in prestito al Benevento. L’anno successivo rimasi in ritiro con Simoni quattro giorni e poi andai definitivamente ad Avellino. Devo dire che alla fine mi è andata abbastanza bene: avevo 30 anni quando vinsi il campionato, stare fermo senza giocare non mi sarebbe convenuto. Sono contento per chi è rimasto, come Taddei, Ardito, Mignani… si sono fatti valere in massima serie. Al di là di tutto, di Siena ho ottimi ricordi. Ringrazio Papadopulo che mi ha dato possibilità di mettermi in mostra.

Cosa fa attualmente Vincenzo Riccio?

Fino a dicembre allenavo l’Under 15 della Juve Stabia, avrei sfidato ai playoff il Siena. Voria mi chiamò convinto di affrontarmi, ma avevo già lasciato per motivi familiari. Ho smesso di giocare a 40 anni e dal 2013 gestisco una scuola calcio con 300 bambini a Brusciano, il mio paese. Ho scelto sin da subito di lavorare con i giovani, perché è bellissimo veder crescere calcisticamente e umanamente i ragazzi. Mi fanno sentire ancora un calciatore, anche se è finita da un bel po’.

Non sei mai tornato a Siena dopo quella stagione?

No, purtroppo no. Spero di rivedere presto questa città che ha accolto bene me e la mia famiglia. Non so se riuscirò a venire sabato, nel caso manderò un video. Tra impegni familiari e lavorativi è dura ma ci proverò. Vorrei però salutare tutti i senesi e alcune persone in particolare. Anna e Sandra, che mi trattarono come un figlio quando inizialmente alloggiavo all’Hotel Piccolo Chianti, e il mio proprietario di casa, Roberto Macinai, e la sua famiglia, che hanno praticamente cresciuto mia figlia.

(Giuseppe Ingrosso)

Fonte: Fol