Verso la festa del 27 maggio – Ardito: “Quella promozione fu il sogno di una città intera”

Il 24 maggio 2003 è forse la data più importante nella storia della Robur. La “Notte di Genova” consentì alla Siena del calcio di uscire improvvisamente dall’anonimato, firmando un’impresa indimenticabile che gettò le basi per il decennio d’oro che seguì. A vent’anni da quella storica promozione in Serie A i Fedelissimi stanno organizzando una festa ad hoc, in programma il 27 maggio. Per scandire i tempi dell’attesa il Fedelissimo Online intervisterà alcuni tra i protagonisti di quell’impresa. Oggi, ad un mese esatto dalle celebrazioni, cominciamo con Andrea Ardito, che per l’occasione ha creato un gruppo Whatsapp per coinvolgere nell’iniziativa i suoi vecchi compagni di squadra.

Andrea, cosa ricordi della “Notte di Genova”?

Ricordo due sentimenti contrapposti. Da una parte una gioia immensa per aver centrato un traguardo storico, dall’altra la paura vera di essermi rotto il ginocchio. Uscii in barella per un brutto intervento nei miei confronti e seguii il resto della partita negli spogliatoi perché non potevo neanche muovere la gamba. C’era il magazziniere che faceva avanti e indietro per dirmi cosa succedeva. Fin quando siamo rimasti a Genova non sono riuscito a godermi del tutto la serata, ma mi rifeci una volta arrivato a Siena, sia perché avevo capito che l’infortunio non era così grave e sia per le birre che avevamo bevuto agli autogrill nel viaggio di ritorno (ride, ndr).

Un campionato vinto da outsider, l’obiettivo all’inizio era un altro.

Venivo dal Como, da due promozioni dalla C alla A. Mi prese il Bologna, feci l’Intertoto (le qualificazioni alla Coppa Uefa, ndr) e pochi giorni prima dell’inizio del campionato arrivai a Siena, quindi saltai il ritiro. Mi dissero che l’obiettivo era fare un buon campionato, puntando innanzitutto alla salvezza. Ma la squadra veniva da un grande finale di stagione, con un ruolino di marcia da promozione, ed era stata puntellata nella maniera giusta. Il mister ci trasmise una carica immensa e il gruppo era compatto, uscivamo a cena assieme due-tre volte a settimana. Percepivamo settimana dopo settimana quello che era il sogno di una città intera. E c’erano emozioni nuove anche dentro la squadra, perché a parte me e pochi altri, la rosa era poco esperta.

Quanto ti ha dato quella stagione per il proseguo della carriera?

Intanto mi ha dato la possibilità di giocarmi la serie A, che avevo sfiorato con la promozione con il Como e poi con il Bologna, e di vivere un esordio indimenticabile. Ho fatto solo quattro gol in carriera, ma uno di questi, il primo in A del Siena, l’ho legato in maniera indelebile alla Robur ed è un orgoglio immenso. In più, la stagione 2002/03 mi ha fatto capire che non esiste un solo modo per vincere il campionato. Col Como ci allenavamo un’ora al giorno, andavamo in ritiro il giorno prima della gara. Con Papadopulo faceva due ore e mezzo di allenamento al giorno e tre giorni a settimana di ritiro. Per via dei carichi di lavoro importanti il primo mese feci fatica. All’inizio fu dura, ma dopo il fatto di vivere quell’esperienza tutti assieme l’ha fatta diventare ancora più bella.

Cosa fa attualmente Andrea Ardito?

Ho allenato in D, anche in C alla Giana Erminio, ma dopo le ultime delusioni ho deciso di legarmi all’Alta Brianza, società lombarda che gioca in Eccellenza. C’è dietro un bel progetto, quello di creare un centro sportivo e un settore giovanile. Adesso alleno ma mi vorrebbero come responsabile tecnico. Mi stuzzica perché mi piace da morire stare sul campo a insegnare, ma l’allenatore della prima squadra è spesso legato ai risultati, dopo pochi mesi rischi di dover abbandonare. Questo ruolo invece mi farebbe lavorare per diversi anni in una società solida economicamente e con grandi valori. Per me non esistono categorie, non contano più di tanto i contratti economici. Quando stai bene, hai tutto quello che devi avere.

Andrea, ci vedremo allora tra un mese, alla festa del 27 maggio.

Abbiamo una grande voglia di festeggiare un qualcosa di straordinario. La squadra è eternamente legata a quell’annata e sarà veramente bello ritrovarsi. Ogni volta che ci penso mi vengono i brividi. Un mese fa ho rivisto il documentario “La favola del presidente” e mi sono venute le lacrime. Il calcio in fondo è emozione, anche se purtroppo adesso è troppo legato ai soldi, e le emozioni più grandi sono quelle che provi in annate del genere. Spero che alla festa ci siano più tifosi possibili. Invito la città e il Comune a interessarsi per fare qualcosa di bello. C’è chi viene da altri continenti, come Pinga e Akassou, apposta per festeggiare. Sarebbe bello poter aggiungere altre iniziative oltre alla cena dei Fedelissimi.

(Giuseppe Ingrosso)

Fonte: Fol