Tifosi e tv: il grande equivoco del calcio italiano

Il teatrino del calcio italiano sta portando in scena il l’ennesimo autogol gestionale, con i primi attori poco interessati a frenare l’emorragia di appassionati dagli stadi. Anzi, il loro sembra un colpevole silenzio assenso. Impianti, pubblico e tv non giocano nella stessa squadra, almeno per le istituzioni calcistiche e le leghe di casa nostra.

A differenza di quanto accade nella penisola, i Paesi più evoluti in materia di comunicazione e marketing hanno capito che strutture, tifosi e media sono ingranaggi di uno stesso meccanismo, potenzialmente virtuoso. Nessuno dei tre è elemento sufficiente, ma tutti sono necessari per valorizzare il prodotto calcio.

Togliere spettatori allo stadio e ‘indirizzarli’ silenziosamente alla pay tv modifica le voci di spesa e le abitudini, ma non produce vantaggi per il sistema. Peraltro si alimenta l’emittenza  televisiva con un cavallo di Troia: da una parte la si arricchisce di utenti; dall’altra la si depaupera nel prodotto che offre. Perché uno stadio gremito, colorato e festante è la cornice più bella per una partita; di conseguenza lo è anche per una produzione televisiva, che solamente così può essere proposta sul mercato mondiale.

Il calcio estero vende perché in Germania, piuttosto che in Inghilterra, l’atmosfera fa della partita uno show. E anche un match non di cartello risulta gradevole, con appeal nel Paese di riferimento ed oltre confine. Questo perché la proposta ‘tira’ nell’insieme: stadi confortevoli, facce divertite; uno spettacolo per gli occhi e dunque facilmente esportabile. Se il prodotto è vincente nel suo complesso, la magia di un impianto pieno e colorato rende appetibile al pubblico televisivo anche Stoke City – Wigan, non solo Chelsea – Manchester United. Ben più difficile è vendere un Chievo – Cagliari con poche migliaia di spettatori, peraltro lontani anni luce dal campo, o un Piacenza – Empoli nascosto nelle nebbie invernali. Le stesse Inter – Juve, Milan – Inter o Milan Juve perdono appeal a livello mondiale, se il loro habitat non è all’altezza della situazione e l’intero contesto serie A non viene valorizzato. Lo dicono i numeri, facilmente reperibili, relativi alla vendita all’estero dei diritti d’immagine dei vari tornei.

Lavorare sulle infrastrutture e favorire l’avvicinamento del pubblico è dunque il primo passo anche per costruire un buon format tv, che dia valore al calcio italiano e possa ambire ad una commercializzazione planetaria. Il circolo virtuoso si alimenta fidelizzando i tifosi, creando le migliori condizioni ambientali e sceniche attorno al campo di gioco; così sì garantisce interesse verso il pallone, che tradotto in euro significa nuovi investimenti e giocatori di livello, per un prodotto sempre più appetibile anche dal punto di vista tecnico. Un amante dello sport va stimolato ad essere anche un abbonato tv, non solo un abbonato tv. Se un appassionato ama la squadra del cuore, il suo stadio e si riconosce nella lega di riferimento, è invogliato anche a frequentare virtualmente gli impianti degli altri. Anche perché è il tifoso da stadio che accetta di vedere a pagamento il calcio scozzese o quello africano, la serie A russa o il pallone che rotola in Sudamerica; è l’amatore che ha bisogno di aggiornamenti 24 ore su 24. Allontanarlo dalla sua passione e dalla casa dei sogni significa allontanarlo dal calcio; alla lunga, anche da quello visto in tv.

Avallare la trasformazione del tifoso da utente live a virtuale è dunque una vittoria di Pirro: per l’emittenza, contenta degli introiti ma destinata a perdere clienti a causa di un’offerta impoverita; per i club, che oggi ridono senza curarsi dell’eccessiva dipendenza dai diritti tv, ma che sono condannati a fronteggiare le insidie di business plan sbilanciati. La vera sfida è quella di moltiplicare gli utenti, garantendo loro un prodotto sempre migliore e completo, fruibile dal vivo e dal salotto di casa. Solo insieme – federazioni, leghe, società e media – è possibile vincerla. Pensando ognuno per sé e guardando il calcio con miopia, senza vedere che gli ingredienti sono complementari e non alternativi, l’ennesima guerra dei poveri del nostro pallone conterà solo vinti. (Tommaso Refini – da Il Fedelissimo nr. 154, in distribuzione sabato)

Fonte: Fedelissimo Online