Terigi a 360 gradi: gli esordi al Genoa, la semi di Coppa Italia, l’importanza di Siena

Una lunga chiacchierata quella a cui Leonardo Terigi, difensore e vice-capitano della Robur, si è concesso ai microfoni di Canale 3, durante la trasmissione Storie di Calcio condotta da Pietro Federici. Tanti aneddoti e temi affrontati durante l’intervista, che ha spaziato su tutta la carriera del giocatore viareggino con un occhio di riguardo alle due parentesi in bianconero. Il racconto parte, come sempre, dagli inizi: «L’amore per il calcio è nato fin da subito. Dico sempre che ho sbagliato, perché io ho iniziato punta. Dato che ero il più alto mi lanciavano palla e io facevo gol, poi piano piano mi hanno arretrato e devo ringraziare chi ha avuto questa intuizione».

Una svolta nella sua carriera è coincisa con il trasferimento al Genoa: «Mi acquistò dalla Lucchese e fui subito aggregato alla prima squadra con Gasperini. Era l’anno in cui arrivò Milito e ricordo bene il mio primo allenamento, perché coincise con la sua presentazione; c’erano duemila persone, fu un’emozione forte».

Un’esperienza chiusasi solo con un rammarico: «Il dispiacere è non essere riuscito ad esordire in Serie A. ma l’avventura di Genova è stata davvero importante. Mi ha fatto capire cosa realmente significasse fare il giocatore di calcio. Una volta entrato in prima squadra capisci che è un mondo a sé».

Dal prato del ‘Ferraris’, Terigi si è poi trasferito a Crotone: «Era la prima esperienza in cui dovevo mettermi in gioco. Ho imparato tanto perché all’epoca i convocati erano ancora 18: collezionai tantissime tribune e quelle mi hanno fatto crescere e accendere il fuoco dentro. Alla prima da titolare in B feci il terzino; fu Corini a farmi esordire, mentre con Menichini non giocavo molto».

Fu in quella occasione che il centrale bianconero affrontò per la prima volta la Robur: «Mi ricordo che ero convocato ed ero in panchina. Quando venivi a Siena sapevi di perdere o, se ti andava bene, pareggiare».

Arriva poi la volta di Carpi, in cui l’allenatore era – ironia della sorte – Massimiliano Maddaloni: «Ma io non lo trovai perché dopo 10 giornate fu sostituito da Notaristefano. Scelsi Carpi dopo che Giuntoli venne a parlarmi la vigilia di Natale a Viareggio per convincermi. Lì mi innamorai della persona perché mi rivedevo nella sua fame e nella voglia di arrivare. Un’avventura indelebile, l’anno successivo fummo promossi in B vincendo i playoff a Lecce».

Dopo un’annata in quel di Grosseto, per il centrale bianconero si aprirono le porta dell’Alessandria: «La prima stagione giocai molto, poi ho iniziato ad avere problemi importanti di pubalgia. Cercavo di essere presente ma le notti non riuscivo neanche a dormire dal dolore. Non c’è mai stato il pensiero di mollare, ma ho vissuto momenti davvero difficili. Poi però ho trovato la forza e devo ringraziare proprio il Siena e lo staff medico. Siena mi ha salvato la carriera».

Prima di chiudere la sua parentesi con la maglia grigia, c’è il tempo per un traguardo storico: la semifinale di Coppa Italia. «Non so nemmeno io come ci riuscimmo – scherza Terigi –, sapevamo di incontrare squadre blasonate, ma quando entravamo in campo succedeva sempre qualcosa che metteva la partita nel modo giusto. Arrivare a San Siro a giocarsi l’accesso ad una finale non è da tutti i giorni. A ripensarci forse sarebbe stato meglio concentrarsi sul campionato, però fu un’esperienza talmente unica che rimarrà nella storia dell’Alessandria».

Al termine della gara con il Palermo di quella competizione, il bianconero scambiò la maglia con quella di Alberto Gilardino: «Decisi di donarla in beneficienza, il ricavato andò ad un orfanotrofio a Viareggio. In quel momento non avrei mai pensato che Gilardino potesse diventare il mio allenatore. Lo ringrazio perché è stata una figura importante sia per il Siena che per la mia carriera. Persone come lui nel calcio non se ne trovano».

Anche Terigi, dal canto suo, non nasconde la sua volontà nel lasciare qualcosa a livello umano come fatto dall’ex tecnico bianconero: «Aver avuto la fortuna di lavorare con persone umili come Gilardino e Negro, che mettono davanti la persona e non la carriera che hanno avuto, è stato di grande insegnamento. La gavetta è un aspetto fondamentale che ti ritrovi anche nella vita. Anche io vorrei venire fuori come persona, se poi sarò ricordato anche come un bel calciatore sono ancora più contento. Ma se posso scegliere, a Siena preferisco essere ricordato come un grande persona».

L’estate del 2016 segnò invece il suo primo passaggio alla Robur: «Un’annata molto complicata. Purtroppo queste stagioni capitano, l’importante fu comunque riuscire a portare la barca in porto. Avevo scelto Siena perché volevo rilanciarmi, e mi rivedevo in un rilancio di Siena sia come città che come piazza calcistica».

Un’avventura interrottasi dopo solo un anno e mezzo: «Andai a Pistoia perché volevo giocare di più. Fu una scelta dura, perché quello di Siena era un gruppo in cui mi ero inserito benissimo. Avevo anche la stima di mister Mignani, grandissima persona e grandissimo allenatore, però dentro di me sentivo l’esigenza di tornare ad essere importante anche dentro il campo».

Nella parentesi di Pistoia Terigi incontra Indiani, un tecnico che ha fatto le fortune di Francesco Disanto: «Francesco è un giocatore veramente forte. Siamo rimasti stupiti vedendo che in passato non ha avuto grandi opportunità. Racconto un aneddoto. Dopo essere arrivato a Siena mi manda un messaggio dicendomi: “Ho firmato per il Siena. So che sei il vice capitano, ma non è che sei ancora arrabbiato con me?”. A fine partita (contro il San Donato, ndr) avevamo litigato, cose che nel calcio succedono. Fu una cosa simpatica e anche oggi ci scherziamo su».

Il ritorno a Siena si concretizza dopo la mancata iscrizione in Serie C della Robur: «È stata una scelta pensata ma non troppo. Il Siena era in difficoltà e io mi sentivo in dovere di aiutarla, avevo bisogno di darle qualcosa indietro. Le sfide a me sono sempre piaciute: preferivo vivere un campionato dilettante sapendo di dover lottare per vincere che magari giocare una C che non mi avrebbe portato nulla. Era uno stimolo in più».

Una stagione condizionata dalla rivoluzione che portò all’avvicendamento di Gilardino e all’arrivo di Gazzaev e Pahars: «È stato un periodo difficile, perché la squadra era giovane. Era complicato spiegare ad uno di loro, che magari era legato come figura a Gilardino, il cambio di allenatore. La lingua poi non ha aiutato, non c’era comunicazione. Ma nel calcio sono esperienze che possono accadere, per fortuna la società è intervenuta».

«Il ripescaggio di quest’estate è stato importante, però sarei stato pronto anche a rituffarmi anche in D» ammette Terigi, che poi dà uno sguardo all’attualità: «Sappiamo di essere una squadra forte, il gruppo mi ricorda quello che avevo ai tempi di Carpi e questo mi fa ben sperare. Siamo pronti a tutto, sappiamo quali sono i nostri limiti e dove dobbiamo migliorare. Cosa è cambiato con Maddaloni? La preparazione tattica della gara, perché l’idea di calcio è diversa. Però adesso sta a noi dimostrare il nostro valore».

(Jacopo Fanetti)

Fonte: Fol