Per gli armeni è finita? E dopo? di Mario Lisi
In questo momento le vignette non mi bastano più per condividere la galoppante amarezza che, al netto delle contemporanee angosce da covid, attanaglia sempre più chi ha a cuore le sorti della Robur.
Ho letto ed apprezzato quanto dichiarato in questi giorni dal presidente dei Fedelissimi Lorenzo Mulinacci così come da Antonio Gigli, Nicola Natili ed altri. Sottoscrivo tutto, parola per parola, se possibile anche le virgole e purtroppo anche i punti interrogativi circa il futuro del Siena, anzi direi del calcio a Siena.
Per questo spero che, almeno da parte dei tifosi, si apra ora, da subito, un confronto di idee sul “dopo” perché ormai è chiaro come il sole che “gli armeni” hanno, se non proprio i giorni o le settimane, comunque i mesi contati. E visto l’andazzo non c’è nemmeno da dolersene…
Del resto la Società (ammesso che ne sia mai esistita una degna di questo nome) a parole dice di seguire ben precisi programmi di sviluppo ma nella realtà il suo modo di agire assomiglia sempre più ad una exit-strategy nemmeno tanto nascosta visto lo stallo del nostro calciomercato e che l’orizzonte prospettato dal nuovo tecnico in sede di presentazione non va oltre il prossimo mese di giugno, da raggiungere in modo definito “dignitoso”.
E dopo? Appunto!
Sarò sincero – nessuno me ne voglia – ma continuare ad appendere i destini bianconeri alla realizzazione del tanto vagheggiato avveniristico stadium polifunzionale in una città vistosamente in decadenza e con un tessuto commerciale urbano in rapida dissoluzione richiede una bella dose di quattrini ma anche di fantasia e di coraggio. Non vorrei che stessero proprio qui i motivi che potrebbero far alzare presto bandiera bianca alla holding armena. Se così è, di questo passo rischiamo solo che la Società passi dalle mani di un avventuriero all’altro con tutti i rischi che ciò comporta, come sappiamo ahimè fin troppo bene.
Sono del parere che dobbiamo rivedere le nostre pretese sullo stadio accontentandoci di qualcosa sicuramente di più decoroso e comodo ma comunque modesto rispetto a voli pindarici palesemente impossibili da realizzare.
A quel punto la proprietà della Robur potrebbe diventare cosa a portata di mano anche di un gruppo di imprenditori del territorio (perché ce ne sono) che singolarmente non possono ma che consorziandosi potrebbero garantire futuro e stabilità al club, magari affiancati da una qualche forma di azionariato popolare con lo scopo non secondario di sentirsi tutti coinvolti in un progetto davvero “nostro”. Ovvio però che a quel punto, per quanto sia dura da mandar giù, bisognerebbe mettere in stand-by certi sogni di gloria, permettersi la categoria e la squadra che ci si può permettere in attesa di tempi migliori.
Ecco, su questo mi piacerebbe che almeno tra i lettori del FOL in tanti dicessero la loro perché troppo importante è continuare a vedere in campo le maglie bianconere come facevo già a sei/sette anni per mano a mio nonno, all’epoca umile collaboratore dell’A.C. Siena quando tutto era affidato al volontariato.
Tra le grinfie dell’odierna contemporaneità iperconnessa al denaro, che fa diventare subito tutto obsoleto, puoi fare anche la Serie A o la B ma non sei mai sicuro che l’anno dopo la tua squadra del cuore potrà essere iscritta al campionato o addirittura che esisterà ancora.
Insomma, nel complicato momento presente, l’assoluta priorità è l’esistenza di un Siena anche negli anni futuri. Perché non si vive solo di ripescaggi.
Fonte: FOL