Nannizzi, un senese in Serie C: “Non vedo l’ora di rincontrare la Robur e cantare la Verbena dalla panchina”

Dall’anno prossimo il campionato di Serie C accoglierà anche il San Donato Tavarnelle. Una vera e propria favola quella della squadra del Chianti, espressione di due frazioni, Tavarnelle Val di Pesa e San Donato in Poggio, entrambe facenti parte del Comune di Barberino Tavarnelle, che supera a malapena i 10000 abitanti. Della squadra che ha saputo imporsi nel girone E del massimo campionato dilettantistico fa parte anche un senese. Dall’estate 2020, infatti, Lorenzo Nannizzi è il vice allenatore e match analyst della formazione gialloblu, al fianco di un decano della panchina come Paolo Indiani: “Il nostro tramite è stato il preparatore dei portieri Di Pisello, con cui avevo lavorato a Poggibonsi”, racconta il 35enne contradaiolo dell’Istrice al Fedelissimo Online.

Lorenzo, affiorano tante emozioni dopo la vittoria di questo campionato.

“Allo stato attuale non mi rendo ancora conto di quello che abbiamo fatto. Forse tra una decina di giorni ci riuscirò. Però ho ben impresse le sensazioni che abbiamo provato in questo percorso da inizio anno”.

Qual è stato il segreto di questo San Donato?

“Parte tutto ad agosto del 2020. Il segreto è nella cultura del lavoro che mister Indiani ha inculcato nella testa di tutti. Dal giocatore più anziano, passando per i membri dello staff fino al giardiniere. Trovare sempre qualcosa su cui migliorarsi, non adagiarsi mai nei momenti positivi e al tempo stesso nemmeno deprimersi nei momenti di difficoltà”.

Tipo?                                                                                

“Soprattutto l’anno scorso, quando a causa del Covid siamo dovuti stare fermi 3 mesi, per poi giocare 17 partite in 75 giorni. Ci è servito da insegnamento anche per questa stagione nel momento in cui il campionato si è fermato. Memori di quello abbiamo riproposto un certo tipo di approccio”.

Quando avete iniziato a credere alla promozione?

“Sin dall’inizio ci siamo accorti che dominavamo le partite, segnando tre gol di media. Abbiamo capito subito che non c’erano squadre che mettevano la nostra stessa intensità. Se dovessi indicare una partita crocevia dico l’andata ad Arezzo. Sotto 2-0 a fine primo tempo l’abbiamo recuperata alla grande. Lì qualcosa è scattato. Poi sono stati determinanti anche gli scontri diretti del girone di ritorno, a Gavorrano e a Poggibonsi, e pure la sconfitta di Rieti ha dato una svolta mentale. In primis a noi dello staff tecnico, ci ha fatto capire che certe situazioni andavano gestite con più calma”.

Con questo successo mister Paolo Indiani ha raggiunto la nona promozione in carriera.

“È il vero artefice del raggiungimento di questo traguardo. Ha portato esperienza, insegnamenti, cura maniacale di ogni dettaglio. Non ha mai lasciato niente al caso”.

Quanto ti senti cresciuto al suo fianco?

“Non so quantificare quanto ho appreso, è stato un percorso importante che è maturato giorno per giorno. Pian piano ci siamo conosciuti meglio anche caratterialmente, ho visto il progresso del nostro rapporto. Con lui c’è sempre stata condivisione di idee. Mi ha trasmesso un bagaglio di cultura calcistica infinito”.

Avete spalancato le porte del professionismo ad una società espressione di un piccolo paese. Che effetto fa pensare di potersi misurare con piazze storiche come Pescara, Cesena, Ancona?

“È un sogno. Vedere singhiozzare anche quei dirigenti che durante la settimana ti sembrano un po’ più scorbutici è stato significativo. Ti fa rendere conto di quello che hai fatto, qualcosa di impensabile”.

Un sogno ad occhi aperti anche per te.

“Se penso che solo cinque anni fa ho preso il patentino, mai e poi mai mi sarei immaginato di fare una simile esperienza. Io ho avuto la fortuna di raggiungerlo a 35 anni, ancora relativamente giovane. Difficile chiedere di più”.

Potresti ritrovare anche la Robur. L’anno scorso, dopo la sfida del ‘Franchi’, raccontasti di come fu difficile per te l’avvicinamento alla partita. Il prossimo anno potrebbe anche esserci il pubblico.

“Così sarò ancora più in difficoltà (ride, ndr). Spero vivamente di cantare la Verbena dalla panchina avversaria. Potrebbe essere una giornata emozionantissima. Sono dell’Istrice, sono nato in Camollia dove mio babbo ha un negozio. Siena è la mia città, qui ho amici, famiglia, fidanzata. Poter affrontare la Robur tra i professionisti sarebbe ancora più strano dell’anno scorso”.

Come hai visto da fuori la stagione del Siena?

“L’ho seguita da tifoso ma anche da osservatore, vivendo l’ambiente. È stata un’annata travagliata, a tratti anche inspiegabile. Penso che Gilardino sia stato mandato in maniera troppo avventata, mi sembrava la squadra lo seguisse. Non mi permetterei mai di giudicare nessuno, ma oggettivamente la gestione Maddaloni è stata fallimentare, creando ulteriori disagi che credo si siano estesi a cose extracampo”.

Poi è arrivato Padalino.

“Lui e il suo staff hanno normalizzato l’ambiente, dando certezze che magari per chi andava allo stadio non erano percettibili. Ha capito che bisognava fare punti il prima possibile, anche a discapito del bel gioco. Probabilmente con un mese in più di campionato avrebbe anche cominciato a fare un calcio più propositivo”.

Grande protagonista della stagione bianconera è stato Disanto, che hai allenato proprio a San Donato. Ti aspettavi un simile exploit?

“Intanto lo speravo, perché gli voglio bene e con lui ho creato un rapporto di amicizia molto forte. Ero strafelice che dopo l’annata scorsa si fosse guadagnato sul campo l’opportunità del professionismo. È una grande persona a livello umano ed un calciatore forte, che ancora forse non si rende conto di quello che può fare”.

Sarà stato felice anche mister Indiani, lui lo conosce forse meglio di chiunque altro.

“Il mister stravede per Francesco, lo aveva lanciato a Pontedera giovanissimo. Mi ha sempre detto che poteva fare grandi cose ma non gli era mai scattata la scintilla per stare a quei livelli. Questa maturità l’ha raggiunta tra l’anno scorso e quest’anno, e siamo stati entrambi contenti di avergli dato modo di misurarsi in una piazza come Siena. Ero con lui quando ha avuto la certezza di venire a Siena, era la persona più felice del mondo”.

Dove è che secondo te ha fatto il salto di qualità?

“A livello mentale ha capito cose che se fosse rimasto con noi non avrebbe capito. Gli ho visto fare 2/3 gol che l’anno scorso non avrebbe mai fatto. In D, sapendo di essere più forte degli altri, avrebbe cercato il dribbling di troppo o fatto una giocata superflua. Quest’anno invece, forte della mentalità che si era costruito, sapeva di doversi guadagnare giorno per giorno il posto. Le reti che ha fatto sono segno di maturità e consapevolezza nei propri mezzi. Spero che il suo percorso possa essere ancora più soddisfacente”.

Il tuo sogno invece è metterti un giorno in proprio?

“Non ci ho mai pensato, in questo momento non ne sento l’esigenza perché mi sono calato molto bene in questo ruolo. In futuro chissà, ma ora vorrei continuare accanto a Indiani nei professionisti, cercando di crescere un passo alla volta”.

(Jacopo Fanetti)

Fonte: Fol