Milesi si racconta: l’Atalanta, l’esordio in Serie B, l’approdo a Siena
Durante la trasmissione Storie di calcio su Canale 3, il difensore bianconero Luca Milesi si è raccontato ripercorrendo la sua carriera e concentrandosi sul presente in maglia bianconera.
Gli inizi
«A 8-9 anni non mi trovavo molto bene, ero abbastanza introverso e abitando lontano dal campo facevo praticamente la vita del pendolare. Infatti a 12 anni volevo lasciare, poi i miei allenatori dell’epoca mi dissero che sarei stato un folle, sicché decisi di tentare. Con il passare del tempo ho iniziato ad avere un rapporto più consolidato con i compagni e a ritrovare il gusto ad andare agli allenamenti».
Atalanta
«Ai tempi ero un centrocampista, poi fui abbassato in una difesa a tre proprio quando stava venendo fuori il concetto di impostazione da dietro. Spesso ero aggregato alla prima squadra, sono stato convocato una decina di volte. È stata una bellissima esperienza, un altro mondo».
Caratteristiche
«La definizione poco appariscente ma sempre efficace? Mi ci vedo, non sono mai stato il giocatore che fa l’uscita in dribbling saltandone tre. Mi hanno sempre inculcato di giocare in maniera molto semplice per essere di aiuto alla squadra. Penso di non essere un giocatore appariscente ma efficace nell’economia di gioco».
Benevento
«Non è stato facile, ci fui catapultato all’ultimo. Da giovane ero abbastanza emotivo quindi ci misi un po’ ad assestarmi. È stata un’esperienza comunque molto formativa, vivere spogliatoi di adulti è un’altra cosa. Mi accorsi subito del cambiamento con il settore giovanile: capisci immediatamente l’importanza del risultato la domenica e quanto questo influisce nella settimana».
Pro Vercelli
«Era la mia prima volta in Serie B e il mio rammarico è non aver giocato tantissimo. Nelle partite giocate avevo fatto bene, ma la loro politica era quella di valorizzare i calciatori di proprietà. Per cui giocavo solo quando avevano bisogno. È stata un’esperienza che mi ha comunque aiutato a credere in me stesso, e dato ancor più consapevolezza nei miei mezzi».
Arezzo
«Tornai in Serie C perché l’idea era quella di trovare continuità. Lì ho avuto Capuano, un tecnico che dava tante certezze quando scendevi in campo. Dal punto di vista caratteriale mi ha trasmesso la forza di farmi scivolare addosso le critiche e quel sano agonismo che forse mi mancava».
Modena
«L’anno dopo, con Sottili, l’Arezzo cercò di alzare l’asticella, fu forse la prima volta che ero al centro di una squadra con tanta qualità. A gennaio però andai via perché Capuano mi voleva a Modena e in quei sei mesi mi trovai benissimo sotto ogni punto di vista».
Vicenza
«Decisi comunque di lasciare Modena perché c’erano grossi problemi societari. Il destino era già scritto, anche se a poi a Vicenza non andò tanto meglio. Dopo un mese saltò per aria tutto e a febbraio arrivò il curatore fallimentare. Gli allenamenti di gennaio non erano sedute vere, con il mercato in ballo la gente aveva paura di farsi male. In questi casi non è facile tenere la barra dritta. Non ci aiutò il fatto che, oltre a non essere sereni, non eravamo compatti come gruppo».
Ritorno alla Pro Vercelli
«Con loro avevo mantenuto bei rapporti, per cui fummo contenti di ritrovarci. Mi trovai benissimo con Grieco, un allenatore veramente bravo oltre che una persona vera. Facemmo un grande campionato: a febbraio eravamo primi, poi pagammo la poca profondità della rosa. Era l’anno dei ripescaggi mancati in Serie B, a febbraio ci ritrovammo a giocare otto partite di cui due con il Pisa nello spazio di tre giorni».
Piacenza
«Una squadra veramente forte, stavamo andando molto bene fino allo stop dovuto alla pandemia. Peccato perché alla ripresa la società decise di ridimensionare e non volle fare i playoff. Il covid? Fu un brutto colpo, Piacenza era praticamente l’epicentro essendo a 10km da Codogno».
Ritorno a Modena
«Mi ero ripromesso di tornarci qualora ci fosse stata l’opportunità tanto mi ero trovato bene. Avevo 3-4 offerte ma aspettai fino all’ultimo, con il senno di poi forse avrei dovuto fare altre scelte. Venendo da un periodo di stop non ero in ottime condizioni. La squadra inoltre aveva una delle migliori difese d’Europa, per cui non giocavo nemmeno. Conservo comunque un ottimo ricordo di mister Mignani, grande persona oltre che un allenatore molto preparato».
Carrarese
«Avevo bisogno di ritrovare la condizione e anche il gusto di giocare. Forse ci sono arrivato in un momento storico difficile per Baldini, un tecnico che se seguito può fare grandi cose; la semifinale persa l’anno precedente probabilmente aveva lasciato un po’ di scorie. Loro avevano anche tanti infortunati, non ne ero al corrente e forse sono stato un po’ superficiale nella scelta».
L’arrivo a Siena
«Tornato a Modena dal prestito, ho subito capito che avevano intrapreso via del cambiamento. Nel frattempo iniziai a sentire la voce che il Siena avrebbe potuto beneficiare del ripescaggio. Gilardino, che avevo avuto per un mese a Vercelli, mi chiamò dicendomi che c’era questa possibilità e io l’ho subito presa in considerazione. Fortunatamente è stato tutto abbastanza veloce. Appena si è presentata l’occasione non ho voluto aspettare, ero anche decisamente convinto».
La Robur
«Siamo un’ottima squadra, considerato che la costruzione della rosa è avvenuta in poco tempo. Il gruppo è ottimo e questa secondo me è la cosa principale. Non è mai facile quando sei in tanti».
Ruolo nello spogliatoio
«Io cerco di dire sempre la mia opinione. Il carattere introverso l’ho un po’ accantonato, se c’è una cosa da dire la esterno senza problemi».
Difficoltà
«Nel trittico di gare Entella-Viterbese-Pescara eravamo ridotti all’osso. Quest’estate molti hanno fatto una preparazione appena accennata, per un giocatore quello vuol dire tantissimo. L’allenamento di squadra è tutta un’altra cosa».
Problemi fisici
«Ho giocato quattro partite infiltrato. Il giorno dopo Gubbio non camminavo, questo edema osseo alla caviglia purtroppo non è facile da smaltire. Ci sto convivendo, il dolore a volte è lancinante ma adesso va molto meglio. La frattura allo zigomo? Sono cose che capitano».
Cambio di allenatore
«Se la società ha voluto fare questo cambiamento è per dare una sterzata alla nostra stagione, dobbiamo prenderlo come un segnale di non accontentarci. Con Gilardino non penso stessimo facendo brutte cose, ma ora stiamo dando l’anima per seguire il credo del nuovo mister. Non è facile ma siamo un gruppo di ragazzi intelligenti, se non sbagliamo atteggiamento possiamo fare grandi cose».
Compattezza
«C’è bisogno di tutti, per fare bene serve veramente rimanere uniti tra tutte le componenti. Ai tifosi chiedo di sostenerci anche quando attraverseremo momenti più difficili».
(Jacopo Fanetti)
Fonte: Fol