Malagò: “Calcio malato, basta tessera del tifoso”
ROMA L’ultima volta che avevamo incontrato Giovanni Malagò, l’allora neo eletto presidente del Coni aveva dato una sorta di ultimatum al calcio. «Abete (presidente dellaFigc, ndr) hai il dovere di riformare il calcio e lo sa bene – aveva detto – e mi aspetto risposte forti da lui. Subito». Subito quando?, gli avevamo chiesto. «Entro settembre», aveva risposto. Era aprile. Per non essere troppo fiscali, invece che a settembre, siamo tornati a trovare il presidente Malagò a dicembre per capire se, a suo parere, le suddette «risposte forti» ci siano state.
Allora, presidente, è soddisfatto?
«Del rapporto personale con Abete moltissimo. Di quello che il calcio ha prodotto in questi mesi, però, non posso dire altrettanto. E’ evidente che esistono molti elementi di criticità. E non si possono nascondere. Però non credo che sia giusto attribuirne tutta la responsabilità alla sola Figc».
Lo scandalo di Salernitana-Nocerina, le curve chiuse per razzismo, gli stadi svuotati, il calcioscommesse, l’agonia a livello europeo, le difficoltà della nazionale… Secondo lei non sono sintomi evidenti di un sistema che non funziona?
«Guardi, la lista dei problemi la conosco a memoria, e mi confronto con Abete quotidianamente, con lui e con le altre componenti del mondo del calcio, visto che la responsabilità di molte delle cose elencate sono delle Leghe, penso al caso Salernitana-Nocerina, o di altri rispetto alla Figc. Non penso sia colpa di Abete se due dei 3 club italiani sono già usciti dalla Champions. La Figc si deve occupare della Nazionale».
Be’, Prandelli non è mica tanto contento… In Brasile ci hanno trattato come una nazionale di serie B.
«Però non ci dimentichiamo che ci siamo qualificati prima di quasi tutti gli altri paesi del mondo, anche se abbiamo dilapidato un po’ di patrimonio nel ranking alla fine… Io non voglio né giustificare né coprire i problemi del calcio italiano. Dico solo di fare attenzione a non buttare bambino e acqua sporca insieme».
E’ che il bambino proprio non si vede…
«Non è vero. Qualcosa di buono è stato fatto. In quella intervista ad aprile segnalavo come priorità la riforma della giustizia sportiva e quella dei campionati. Quest’anno ci sono 132 squadre professionistiche, dal prossimo saranno 102. Non basta, perché il sistema sportivo ed economico italiano non regge 100 squadre, ma è un passo in avanti. Dalla mia posizione non posso fare altro che auspicare un’ulteriore, drastica riduzione nei prossimi 2-3 anni, così come non posso che fare notare che non è normale che il si stema si regga so lamente sui diritti televisivi. Ma affermare che non è stato fatto nulla è ingeneroso».
Non sembra proprio una riforma di sistema.
«Mail calcio ha anche fatto qualcos’altro di positivo».
Cosa?
«Ha dimostrato di saper essere generoso, ha sostenuto le 31 federazioni olimpiche con 4 milioni e 600 mila euro con un progetto legato all’attività giovanile. Ogni federazione ha beneficiato di circa 150 mila euro».
Non è generosità: c’è una legge che lo prevede.
«Sì ma in passato non lo aveva fatto, grazie a un certo tipo di interpretazione di quella legge. E poi la Figc si è ben comportata sulla tematica di riforma della legge 91, quella sui rapporti tra sportivi professionisti e società. E si è schierata al fianco del Coni nella battaglia perla legge sugli stadi».
Nella battaglia per la riforma della giustizia sportiva invece ha remato contro il suo progetto.
«Quella la considero una questione a parte. Penso che l’origine di quasi tutti i problemi del calcio derivassero dal sistema di giustizia sportiva che non ho mai condiviso. Ci ho lavorato come un matto. Ho fatto spesso mezzanotte in ufficio. Non avete idea di quante pressioni mi sono arrivate per quella riforma».
La Figc era parecchio scontenta, alla fine.
«Riformare la giustizia è stato un ginepraio. Chi la voleva in un modo chi nell’altro. Con le federazioni – Figc compresa – che cercavano di estendere il più a lungo possibile, attraverso i vari gradi di giudizio, il proprio potere decisionale. Alla fine ho fatto come volevo io. Adesso penso che anche il calcio abbia gli strumenti per non incappare più o incappare di meno negli errori che sono stati fatti in questi anni».
Con la “riforma Malagò”, la vicenda calcioscommesse sarebbe finita diversamente?
«Nella sostanza non posso dirlo, non sarei serio, bisognerebbe essere dei giudici. Ma nella forma certamente sì. Sul punto non dico altro. Giancarlo Abete ha davanti a sé un quadriennio, ha assicurato che non si ricandiderà, lui sa cosa deve fare».
Cosa?
«C’è stato un decremento, un’emorragia, una fuga del 25 per cento dei tifosi dagli stadi negli ultimi due anni. Si sono persi per strada. Ecco, quello è il vero problema. C’è stata un’emorragia, 25% dei tifosi in fuga dagli stadi in due anni. Le norme attuali non vanno, c’è poco da fare Sulla giustizia ci sono state pressioni enormi da chi voleva mantenere potere. Alla fine ho fatto come volevo io Quelli portati in curva a Torino non erano certo figli degli ultrà: la colpa non è del calcio, ma della società italiana
Come si risolve?
«Occorre rivedere del tutto i rapporto tra il calcio e i tifosi. I rapporti tra Figc e Lega. E occorre cambiare la tessere del tifoso. Così è inutile. Non funziona, c’è poco dafare».
Non piace a nessuno: doveva togliere iviolenti dagli stadi, identificando preventivamente i tifosi, ma ha avuto l’effetto di svuotarli del tutto. Eppure nessuno la toglie.
«Perché finché non ci saranno stadi nuovi e nuove regole è pericoloso abrogare quelle precedenti. E’ come addentrarsi nella giungla a mani nude. Dopo la riforma della giustizia, l’altro cardine del discorso è la legge sugli stadi, è fondamentale».
Come si fa a garantire che non serva solo per favorire le speculazioni?
«La garanzia non si può dare. Ma si può immaginare un percorso che individui chiaramente le varie responsabilità a livello istituzionale. Noi chiediamo: 1) procedure certe, visto che lo stato non mette una lira ed è tutto privato almeno diciamo all’imprenditore qual è il percorso che deve seguire; 2) tempi certi; 3) sostenibilità del progetto».
Vale a dire l’autorizzazione a costruire cose che non c’entrano niente con lo sport.
«Una palazzina mostro no, ma se uno fa un palazzetto dello sport in una provincia che ne ha bisogno, negargli il diritto di aprire un punto di ristoro è da sciocchi. Ovviamente il tutto deve essere vincolato al parere – emesso in tempi certi – delle istituzioni. Non credo proprio che Marino e Zingaretti, per fare un esempio, autorizzeranno Pallotta a fare una speculazione edilizia a Roma… Quando il calcio potrà contare suimpianti moderni si potrà abolire la tessera del tifoso e puntare su sistemi più efficaci, come in Inghilterra. E sono certo che anche i comportamenti più retrivi conosceranno una drastica ri duzione».
Be’ i bambini che urlano “merda” alportiere li abbiamo visti allo Stadium, un impianto nuovo.
«Davvero non pensavo potesse accadere una cosa del genere. Però, non è che quei bambini siano stati scelti trai figli degli ultrà. Molti di loro non erano nemmeno tifosi della Juve, non erano mai stati in uno stadio. Erano stati scelti dal co mitato regionale del Piemonte. Voglio dire: siete sicuri che sia proprio colpa del calcio? Non è forse colpa della società italiana. Non me ne voglio lavare le mani. Solo proviamo a partire da qui. La mia grande sfida è riformare il paese attraverso lo sport. Magari renderlo meno calciocentrico. Ma da presidente del Coni non posso accettare che si dia la colpa al calcio di fenomeni che riguardano l’intera collettività, i genitori di quei bambini, i loro educatori. Sarebbe il primo passo verso il fallimento certo».
Mancano pochi giorni alla partenza per Sochi, la sua prima avventura olimpica da presidente. Prospettive?
«E ovvio: di migliorare il bilancio della precedente spedizione. Da Vancouver andammo via con cinque medaglie di cui una solo d’oro. Mi auguro di almeno di raddoppiare gli ori».
Fonte: La repubblica